Pubblicato da: Andrea | 16 dicembre 2010

Vorrei dirti molte cose, due parole almeno, un soffio.

Vorrei dirti molte cose, due parole almeno, un soffio, qualche frase strappata a pensieri scritti da altri che ogni volta che li leggo sembrano appartenermi in maniera tanto devastante. Vorrei parlarti ora, in questo momento in cui so che sei tra le sue braccia, che osservi il suo respiro lento sollevargli il petto, mentre lo ascolti sussurrare le dolcezze che prima appartenevano alla mia bocca, quand’eravamo io e te a dividerci il medesimo cuscino e l’aria della stessa stanza. Vorrei far finta che ogni volta che questo succede, ogni volta che ti penso con lui, nella mia testa non accada nulla di più che una presa di coscienza di un fatto banale, un dettaglio semplice della tua esistenza lontana, non differente da tutti gli altri che caratterizzano i tuoi gesti in assenza di me. Vorrei che si verificasse proprio questo, in modo da rendermi tutto più semplice, uno scorrere liscio di situazioni che fanno parte di un mondo a me estraneo, intangibile. Ma non posso, non ce la faccio, e più cerco di convincermi di poter continuare a fingere indifferenza, più le cose mi stringono il petto facendomi esplodere il cuore.
Ho provato ad essere per te quello che mi chiedevi: un amico, un confidente, una persona vicina che potessi trovare in tutti i tuoi istanti di egoistico bisogno. Ma non è così che deve funzionare il nostro rapporto, fatto di incontri fugaci e devastanti, dove a fatica tentiamo goffamente di rimanere distanti, e senza che nessuno di noi lo voglia veramente. Senza che ce ne sia un reale bisogno, se non quella persona tra noi che in realtà hai deciso debba rivestire un ruolo più importante del mio.
Non possono essere gli abbracci di un’ora la consolazione del nostro naufragio di sentimenti. Non può essere la passione nascosta al mondo, consumata nei momenti che la tua incomprensibile nostalgia ci regala, la sola cosa che lega i nostri occhi quando ci guardiamo per minuti interminabili, senza pronunciare nemmeno un sospiro per evitare di ricordarci improvvisamente dell’errore che stiamo commettendo ad essere ancora tanto legati nonostante sia cambiato tutto.
Vorrei che il dolore cancellasse la gioia di starti accanto, per rendere più facile questa mia separazione. Alzarmi un giorno e dimenticare il tuo volto, la tua voce, il modo gentile ed improvviso che hai di accarezzarmi la pelle nei punti in cui sai che provo più piacere. Ricerco questa cosa con tutte le mie forze. Vorrei imparare a desiderare altri volti ed altre braccia, impormi come hai fatto tu che non ci debba essere un sentimento dietro al contatto tra due corpi. Eppure non c’è stato gesto compiuto da me che non fosse nato o sia stato realizzato per te, per te soltanto, per l’affetto che provo e che non riesco a scacciare in alcun modo.
Io non so tu a che cosa pensi quando siamo assieme, non so se confondi le mie labbra con le sue, se nella tua mente esistono due persone sovrapposte che al medesimo modo riescono a darti quello che cerchi. So solo quello che provo io, l’angoscia di doverti perdere appena terminati quei secondi che trascorriamo vicini, esattamente come un tempo, quando eravamo soli nel silenzio di un lenzuolo caldo che timidamente avvolgeva il nostro legame.
A volte vorrei frapporre migliaia di chilometri tra il mio sorriso ed il tuo, e lasciare che questa lontananza sia la mia consolazione, il mezzo con cui perderti senza soffrire. Io, che non ho la forza di dirti addio, nè al tempo stesso la possibilità di non farlo per ritrovare la mia serenità strappata.
Quando piango in silenzio e ripenso a noi in realtà sono solo un bambino fragile. Ho paura che questo tempo speso a non dimenticarti non sia nulla di più che un regalo che faccio alla tua felicità rubata alla gentilezza, quell’aspetto di me che ti avevo così impulsivamente donato e che ti sei preso senza mai comprendere cosa significasse veramente.

Pubblicato da: Andrea | 11 dicembre 2010

Luca+Salvo. Urbino.

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Video:

 

Photos & Post production: Andrea Palla
Models: Luca S. & Salvatore R.
Location: Urbino, Italy
When: 4-7 December 2010
Music in video: “Sorrow” by The National

“C’erano giorni che la neve cadeva sui tetti delle case ed imbiancava il mondo, strade come distese monocromatiche sulle quali si rifletteva la luce del sole che attraversava la terra. Rimanevo ore alle finestre per osservare le impronte che si disegnavano sull’asfalto, piccole buche scavate dal peso degli uomini e dalle storie che si portavano appresso mentre camminavano verso le loro dimore. Erano i giorni in cui non c’erano colori, ed ogni cosa perdeva di significato: era tutto parte di un unico senso comune, dai contorni indefiniti e soffici. Poi venne la Primavera, che sciolse il ghiaccio e parve portare nuovo calore. Venne all’improvviso a cambiare ogni cosa, distruggendo ogni conoscenza acquisita nei mesi precedenti. I suoi spazi vitali, l’infinita distesa di prati dai multiformi fiori, ognuno con la sua specifica finezza, il suo specifico vestito di petali, non fu per me consolazione, semmai consapevolezza della differenza, ingombrante ricordo di una perfetta imperfezione. Allora compresi che non era nella dolcezza che si nascondeva la felicità del mondo: essa era nella grazia di un istante preciso e banale, nel tempo speso ad osservare un paesaggio immutevole e fissato, costruendovi dentro la propria storia innocente, e facendola muovere tra i contorni sbiaditi di un pensiero infinitamente grande ed infinitamente monocromatico. Era la percezione della semplice immutabilità delle cose, che mi aveva fatto stare bene. Vedere svanire tutto, sentirla scomparire in un paesaggio che ai più sarebbe apparso come migliore, mi fece sentire terribilmente fuori luogo: come se dovessi trascorrere il resto della mia storia in solitudine, in un universo distante che mai avrebbe saputo contenere tutta la mia ingombrante tristezza. Avrei voluto un altro Inverno, per ricominciare tutto da capo. Un altro Inverno e un’altra neve, con la quale rendere il paesaggio nuovamente uniforme, e riuscire a ritrovare quello spazio segreto in cui avevo faticosamente costruito la mia gioia.”

(Photo by Tomb Land)

Pubblicato da: Andrea | 8 ottobre 2010

Fu ripensare al suo nome.

“Fu ripensare al suo nome – le poche lettere che lo componevano, il modo sinuoso in cui si mescolavano i suoni al solo pronunciarlo – che riportò all’improvviso a galla ogni dettaglio della nostra storia. Ebbi l’impressione che nel suo nome si fosse nascosto tutto: dai suoi occhi socchiusi che mi guardavano nella prima luce del giorno, quando il nostro risveglio dava il via al mondo, alle carezze leggere che sapeva regalarmi quando i nostri corpi riposavano vicini. C’era la felicità, in quel nome, e tutto ad un tratto riuscivo a ricordarla con estrema precisione, in ognuno dei suoi piccoli dettagli d’euforia. Ma dopo un po’, passata l’estasi iniziale, alla felicità si accompagnò il resto, venne il dolore e il pianto, e la delusione nell’osservare come un semplice nome mi avesse strappato via ogni cosa: come se l’infinito universo fosse stato compresso in una parola, e il senso di ogni cosa non fosse stato altro che una caratteristica terribilmente effimera e sfuggevole di un essere umano. Un nome: oggetto ripetibile, impersonale, donato dalle madri a migliaia di figli differenti. Un nome, il suo, che diede forma alle cose rubandone l’essenza, rendendola tanto comune da non essere mai stata ricordata fino ad allora.”

Pubblicato da: Andrea | 21 settembre 2010

Il vincitore si prende tutto.

Non voglio parlare di come siano andate le cose. Nonostante mi ferisca, ora fa parte del passato. Ho giocato tutte le mie carte, ed è quello che hai fatto anche tu. Non c’è nient’altro da dire, nessun asso in più da giocare. Il vincitore si prende tutto. Il perdente si sente una nullità. Accanto alla vittoria,  questo è il suo destino. Sono stato tra le tue braccia, pensando di appartenergli. Ho pensato che avesse un senso, costruirmi un recinto. Costruirmi una casa. Pensando che sarei stato più forte lì. Ma sono stato uno stupido a giocare secondo le regole. Gli déi possono lanciare i dadi a mente fredda, e qualcuno quaggiù perde una persona cara. Il vincitore si prende tutto, il perdente non può far altro che cadere. È semplice, ed è normale, perché dovrei lamentarmi? Ma dimmi, lui ti bacia come ti baciavo io? Provi le stesse cose quando chiama il tuo nome? Da qualche parte nel profondo, dovrai pur sapere che mi manchi. Ma cosa posso dire? Le regole vanno rispettate. I giudici decideranno, quelli come me sopportano. Gli spettatori devono restare in platea a guardare. Il gioco continua. Amante o amico? Tanto o poco, il vincitore si prende tutto. Non voglio parlare, se questo ti fa sentire triste. E l’ho capito, sei venuto solo per stringermi la mano. Ti chiedo scusa, se tutto questo ti fa star male. Vedermi così teso, senza fiducia in me stesso. Ma vedi, posso solo dire: il vincitore si prende tutto. Il vincitore si prende tutto.

“Ci sono cose che si fanno con la forza dell’intraprendenza, altre con quelle della frustrazione. Eppure nulla cambia al principio: qualunque cosa tu decida di fare, la farai con la convinzione che possa portarti al bene necessario. Ciò che differenzia questi modi di procedere è il percorso intermedio: nel primo caso esso concederà smisurata felicità, approdando talvolta alla delusione; nel secondo si muoverà a tentoni, con sforzi viscerali e delibitanti, portando forse al medesimo risultato. Ma come val la pena morire per quello per cui si ha lottato, altrettanto vale viverne: non è sempre la conclusione il punto focale di una storia, spesso è il movimento che ha portato ad essa.”

Pubblicato da: Andrea | 5 luglio 2010

Amore silenzioso

Il mio amore ha il suono silenzioso della pioggia quando il sole l’asciuga.
Il mio amore è fiato ed ombra, arriva a passi soffocati dalla neve
che rimangono a impronte indistinguibili nel tappeto del mondo.
Nella brezza chiamo il tuo nome, il vento lo disperde nel giorno
e il tuo bacio si fa incolmabile distanza. Sussurro il tuo corpo a bocca serrata,
e nominarlo l’uccide.
Il mio amore è un sogno che giace rinchiuso,
sorride a denti stretti e si strozza in gola.
Il mio amore è il rumore del mattino quando s’abbatte sui vetri.
Il tuo amore l’osserva dalla stanza muta, mentre si cambia il vestito
gli sorride e tace.

Pubblicato da: Andrea | 5 aprile 2010

un equilibrio sopra la follia.

Pubblicato da: Andrea | 28 marzo 2010

Adesso piove.

Adesso piove.
L’alba arriva presto, prima della primavera o dei fiori.
Sono una goccia rotonda che si posa su una rosa sbocciata alla fine della guerra.
Dal cielo vibra un tuono per ricordarci che è il momento di svegliare i nostri occhi sospesi.
Bombe come una canzone di plastica che ci devasta.
Odore di mattini violenti e capelli arruffati.
Ho freddo e non è la neve.
Le unghie sono metafore fragili in preda alla polvere.
I piedi ancore sul fondo dei nostri pensieri.
Cado nel vento.
Cado e non mi rialzo.
Ho freddo e non è la neve.
Sogno piano per non svegliarti.

Pubblicato da: Andrea | 22 gennaio 2010

Sottovoce

Sottovoce
viene la preghiera e il canto,
il vento copre il sonno dei falchi
che s’inabissano nel mattino
con echi di porpora.
S’oscurano le ombre e ingoiano
il corpo.

Viene lo sguardo, sottovoce,
denso d’inquietudine e dissenso.
Viene la mano, la ferita
che trafigge il tempo.

Dalla finestra silenziosa luce che tace
e aurore; grida la tempesta, ma è
abbandono senza ferita né dolore.
Lei pure sottovoce, come la parola
che trema e non ha più fame.

Si spengono i ricordi nella solitudine della notte.
La musica è sinfonia d’addio che va scemando:
alito che agita le foglie e allontana
la tempesta tra le spine e i sassi.

(Lontano s’alzano le farfalle,
camminano i prati, smuovono il senso:
hanno battito d’ali che è frusciare denso,
colpo secco che sempre viene
sottovoce.)

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